Per continuare a parlare dei più importanti romanzi della letteratura sudamericana, ho deciso di giocare il jolly con la seconda opera più importante in lingua spagnola, dopo il Don Chisciotte di Cervantes: Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez.

Proprio ieri, mi sono unita a un gruppo di lettura ed è stato aperto un piccolo dibattito su questo romanzo: chi lo ama, chi lo rilegge almeno una volta l’anno e chi non è riuscito a finirlo. La mia personalissima idea è che non si tratti di un libro alla portata di tutti i lettori: ci vuole empatia, fantasia e una buona capacità logica per associare i personaggi (quasi tutti omonimi) agli eventi eccezionali di questo luogo immaginario chiamato Macondo.
Vi riporto un estratto della trama:
Da José Arcadie ad Aureliano Babilonia, dalla scoperta del ghiaccio alle pergamene dello zingaro Melquíades finalmente decifrate: cent’anni di solitudine della grande famiglia Buendía, i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono per inseguire un destino ineluttabile. Con questo romanzo tumultuoso che usa i toni della favola, sorretto da un linguaggio portentoso e un’inarrestabile fantasia, Gabriel Garcia Màrquez ha saputo rifondare la realtà e, attraverso Macondo, il mitico villaggio sperduto fra le paludi, creare un vero e proprio paradigma dell’esistenza umana. In questo universo di solitudini incrociate, impenetrabili ed eterne, galleggia una moltitudine di eroi predestinati alla sconfitta, cui fanno da contraltare la solidità e la sensatezza dei personaggi femminili. Pubblicato nel 1967, scritto in diciotto mesi ma meditato per più di tre lustri, “Cent’anni di solitudine” rimane un capolavoro insuperato e insuperabile, un romanzo tra i più amati di sempre che, in occasione del quarantesimo anniversario della prima pubblicazione, gli Oscar Mondadori propongono in un’edizione speciale arricchita da un documento d’eccezione: la lettera con cui “Gabo” presentava il manoscritto dell’opera al suo editore.


Ho letto soltanto una volta questo libro, ma è nei progetti quello di leggerlo ancora una volta e chissà anche di più. La mia copia è quella più vecchiotta, la prima traduzione che è rimasta in uso per tutte le ristampe fino a pochi mesi fa. Ilide Carmignani, infatti, ha tradotto nuovamente il romanzo aggiornando un lessico che cominciava a risultare obsoleto.
E’ un romanzo estremamente particolare, la sua bellezza va colta tramite una lettura approfondita e con la massima attenzione. Ne è valso il Premio Nobel per la Letteratura nel 1982: le vicende delle sette generazioni racchiuse in quest’opera rappresentano il massimo capolavoro della letteratura sudamericana.
Voi lo avete letto o riletto di recente? Avete confrontato la vecchia traduzione con quella più moderna di Ilide Carmignani?
Manu
Articolo molto interessante. Un libro da leggere, rileggere e condividere con gli amici. 😊
Grazie Franca, detto da te che sei un’intenditrice è un complimento 🙂
Ne ho sentito tantissimo parlare, ma non l’ho mai letto! Al momento non ho in programma di farlo, ma ci penserò… anche se vorrei dare la precedenza a “La storia infinita” o ad “Anna Karenina”, che ancora (purtroppo) non ho letto!
Anna Karenina è il mio libro preferito in assoluto. Credo che sia di una bellezza e di un’attualitá disarmante… Cent’anni di solitudine è molto particolare invece: o si ama o si odia!